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INVALSI 13.05.2019

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    Novembre 1943

    Le macerie erano grigie sotto il cielo grigio. Un'intera strada, un intero quartiere distrutto. In una di quelle mattine tanto lucide, con il sole sui vecchi muri e dentro le piccole finestre, le fortezze incendiarie avevano buttato giù grappoli di bombe incendiarie, trapananti, dirompenti. Ora tutto era rimasto abbandonato e deserto.

    Attraverso quelle macerie grigie Roberto s'inoltrò, nella freddezza di un giorno di novembre, in cerca delle rovine della sua casa. Per fortuna non aveva morti da piangere, ma lui sapeva che cosa aveva lasciato laggiù, nascosto in un buco nel muro. All'insaputa della mamma, fragile e piangente, apparteneva alla Resistenza. Scavalcando pietre e mattoni, raggiunse la scala, scivolò verso la cantina, e in quel punto udì un rumore. Era il vicino che aveva visto tante volte in camicia nera e fez. Lo salutò, allungò il passo. Gli passò un brivido in mezzo alla schiena…

    Non sapeva se quello lo seguiva, ma non si azzardò a voltarsi. E fu allora che vide, più lontano, due militi della guardia nazionale repubblicana.

    Lo inseguivano. Roberto sentiva, contro il proprio rumore, il rumore di un'altra corsa.

    Possedevano tutte le carte in regola per acchiapparlo, ché lui era soldato l'8 settembre, e aveva abbandonato il reparto, il reggimento, era scappato attraverso campagne sconosciute, finché una famiglia di contadini non si era data da fare per vestirlo con abiti borghesi, fornendogli il modo di ritornare a casa. Aveva fatto appena in tempo a trascinare sulla collina la mamma e i fratelli, e a trovare in un colpo di fortuna uno dei vecchi amici del babbo, per informarlo di avere nascosto le armi nel buco della cantina. Troppo bene gli era andata fino allora, tutto si era messo in suo favore. Adesso invece era in fuga attraverso un rione deserto, inseguito da due militi cui un nemico ben informato aveva fornito dettagli e ordini precisi.

    Nel lampo acuto di questi pensieri Roberto cercava il modo per salvarsi. Alla prima strada traversa, voltò rapidamente, trovò un andito ancora in piedi, si precipitò nel buio come una volpe. Ma sbatté anche lì contro un muro di macerie. Sperava che i passi dei militi passassero oltre nella corsa. Invece si arrestarono. «È entrato qui» disse una voce, e piano piano lui vide avanzare le due ombre stagliate dentro la nebbiosa luce del portone…

    All'improvviso si mosse di scatto: intese, come una scossa, il bisogno dell'azione, del moto, della libertà. Con un salto si slanciò fuori, si gettò disperatamente a correre sulle pietre sonore della via, e la paura gli prestò una velocità impensata. Si rese conto di avere guadagnato tempo e spazio su quelli che lo inseguivano, e che difficilmente lo avrebbero raggiunto. Svoltò a un angolo, si infilò in un vicolo. Sapeva dove si dirigeva, non certo verso la sua famiglia sfollata e in salvo sulla collina, ma in un'altra parte della città, nel posto celato e sicuro che gli appariva come la risoluzione di tante sue frementi perplessità. E fu proprio in quel momento che gli venne in aiuto il fischio della sirena d'allarme aereo, un segnale tremante e lugubre, e insieme un lento accendersi di bengala sulla città indifesa.

    Roberto si precipitò fuori dai quartieri distrutti e deserti, attraverso piccole strade buie fino a raggiungere il centro. E senza più alcuna paura si inserì nelle colonne spaventate di gente che correva per raggiungere i rifugi, udì i loro gemiti, le abbandonò ad ogni scala di sotterraneo per correre più lontano, felice, leggero, con i pensieri agili come le sue gambe. Tastava nelle tasche le armi e si ripeteva nel ritmo del respiro: «Sono salvo, sono salvo». Quando il greve silenzio dell'attesa calò come un sipario sulla città, e tutto ciò che viveva apparve fermo, atterrito e sepolto, egli si incamminò come per una passeggiata verso la piccola casa della periferia dove sapeva di trovare il suo posto già designato.


    (adattato da R. Viganò, Matrimonio in brigata, Grafis, 1995)


    Un'intera strada, un intero quartiere distrutto: quale elemento manca nella proposizione?

    Nome

    Soggetto

    Predicato

    Aggettivo

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    DIFFICOLTÀ


    Novembre 1943

    Le macerie erano grigie sotto il cielo grigio. Un'intera strada, un intero quartiere distrutto. In una di quelle mattine tanto lucide, con il sole sui vecchi muri e dentro le piccole finestre, le fortezze incendiarie avevano buttato giù grappoli di bombe incendiarie, trapananti, dirompenti. Ora tutto era rimasto abbandonato e deserto.

    Attraverso quelle macerie grigie Roberto s'inoltrò, nella freddezza di un giorno di novembre, in cerca delle rovine della sua casa. Per fortuna non aveva morti da piangere, ma lui sapeva che cosa aveva lasciato laggiù, nascosto in un buco nel muro. All'insaputa della mamma, fragile e piangente, apparteneva alla Resistenza. Scavalcando pietre e mattoni, raggiunse la scala, scivolò verso la cantina, e in quel punto udì un rumore. Era il vicino che aveva visto tante volte in camicia nera e fez. Lo salutò, allungò il passo. Gli passò un brivido in mezzo alla schiena…

    Non sapeva se quello lo seguiva, ma non si azzardò a voltarsi. E fu allora che vide, più lontano, due militi della guardia nazionale repubblicana.

    Lo inseguivano. Roberto sentiva, contro il proprio rumore, il rumore di un'altra corsa.

    Possedevano tutte le carte in regola per acchiapparlo, ché lui era soldato l'8 settembre, e aveva abbandonato il reparto, il reggimento, era scappato attraverso campagne sconosciute, finché una famiglia di contadini non si era data da fare per vestirlo con abiti borghesi, fornendogli il modo di ritornare a casa. Aveva fatto appena in tempo a trascinare sulla collina la mamma e i fratelli, e a trovare in un colpo di fortuna uno dei vecchi amici del babbo, per informarlo di avere nascosto le armi nel buco della cantina. Troppo bene gli era andata fino allora, tutto si era messo in suo favore. Adesso invece era in fuga attraverso un rione deserto, inseguito da due militi cui un nemico ben informato aveva fornito dettagli e ordini precisi.

    Nel lampo acuto di questi pensieri Roberto cercava il modo per salvarsi. Alla prima strada traversa, voltò rapidamente, trovò un andito ancora in piedi, si precipitò nel buio come una volpe. Ma sbatté anche lì contro un muro di macerie. Sperava che i passi dei militi passassero oltre nella corsa. Invece si arrestarono. «È entrato qui» disse una voce, e piano piano lui vide avanzare le due ombre stagliate dentro la nebbiosa luce del portone…

    All'improvviso si mosse di scatto: intese, come una scossa, il bisogno dell'azione, del moto, della libertà. Con un salto si slanciò fuori, si gettò disperatamente a correre sulle pietre sonore della via, e la paura gli prestò una velocità impensata. Si rese conto di avere guadagnato tempo e spazio su quelli che lo inseguivano, e che difficilmente lo avrebbero raggiunto. Svoltò a un angolo, si infilò in un vicolo. Sapeva dove si dirigeva, non certo verso la sua famiglia sfollata e in salvo sulla collina, ma in un'altra parte della città, nel posto celato e sicuro che gli appariva come la risoluzione di tante sue frementi perplessità. E fu proprio in quel momento che gli venne in aiuto il fischio della sirena d'allarme aereo, un segnale tremante e lugubre, e insieme un lento accendersi di bengala sulla città indifesa.

    Roberto si precipitò fuori dai quartieri distrutti e deserti, attraverso piccole strade buie fino a raggiungere il centro. E senza più alcuna paura si inserì nelle colonne spaventate di gente che correva per raggiungere i rifugi, udì i loro gemiti, le abbandonò ad ogni scala di sotterraneo per correre più lontano, felice, leggero, con i pensieri agili come le sue gambe. Tastava nelle tasche le armi e si ripeteva nel ritmo del respiro: «Sono salvo, sono salvo». Quando il greve silenzio dell'attesa calò come un sipario sulla città, e tutto ciò che viveva apparve fermo, atterrito e sepolto, egli si incamminò come per una passeggiata verso la piccola casa della periferia dove sapeva di trovare il suo posto già designato.


    Nel testo si afferma che Roberto sapeva che cosa aveva lasciato laggiù, nascosto in un buco nel muro. Che cosa aveva lasciato?

    Documenti

    Vestiti

    Soldi

    Armi

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    Novembre 1943

    Le macerie erano grigie sotto il cielo grigio. Un'intera strada, un intero quartiere distrutto. In una di quelle mattine tanto lucide, con il sole sui vecchi muri e dentro le piccole finestre, le fortezze incendiarie avevano buttato giù grappoli di bombe incendiarie, trapananti, dirompenti. Ora tutto era rimasto abbandonato e deserto.

    Attraverso quelle macerie grigie Roberto s'inoltrò, nella freddezza di un giorno di novembre, in cerca delle rovine della sua casa. Per fortuna non aveva morti da piangere, ma lui sapeva che cosa aveva lasciato laggiù, nascosto in un buco nel muro. All'insaputa della mamma, fragile e piangente, apparteneva alla Resistenza. Scavalcando pietre e mattoni, raggiunse la scala, scivolò verso la cantina, e in quel punto udì un rumore. Era il vicino che aveva visto tante volte in camicia nera e fez. Lo salutò, allungò il passo. Gli passò un brivido in mezzo alla schiena…

    Non sapeva se quello lo seguiva, ma non si azzardò a voltarsi. E fu allora che vide, più lontano, due militi della guardia nazionale repubblicana.

    Lo inseguivano. Roberto sentiva, contro il proprio rumore, il rumore di un'altra corsa.

    Possedevano tutte le carte in regola per acchiapparlo, ché lui era soldato l'8 settembre, e aveva abbandonato il reparto, il reggimento, era scappato attraverso campagne sconosciute, finché una famiglia di contadini non si era data da fare per vestirlo con abiti borghesi, fornendogli il modo di ritornare a casa. Aveva fatto appena in tempo a trascinare sulla collina la mamma e i fratelli, e a trovare in un colpo di fortuna uno dei vecchi amici del babbo, per informarlo di avere nascosto le armi nel buco della cantina. Troppo bene gli era andata fino allora, tutto si era messo in suo favore. Adesso invece era in fuga attraverso un rione deserto, inseguito da due militi cui un nemico ben informato aveva fornito dettagli e ordini precisi.

    Nel lampo acuto di questi pensieri Roberto cercava il modo per salvarsi. Alla prima strada traversa, voltò rapidamente, trovò un andito ancora in piedi, si precipitò nel buio come una volpe. Ma sbatté anche lì contro un muro di macerie. Sperava che i passi dei militi passassero oltre nella corsa. Invece si arrestarono. «È entrato qui» disse una voce, e piano piano lui vide avanzare le due ombre stagliate dentro la nebbiosa luce del portone…

    All'improvviso si mosse di scatto: intese, come una scossa, il bisogno dell'azione, del moto, della libertà. Con un salto si slanciò fuori, si gettò disperatamente a correre sulle pietre sonore della via, e la paura gli prestò una velocità impensata. Si rese conto di avere guadagnato tempo e spazio su quelli che lo inseguivano, e che difficilmente lo avrebbero raggiunto. Svoltò a un angolo, si infilò in un vicolo. Sapeva dove si dirigeva, non certo verso la sua famiglia sfollata e in salvo sulla collina, ma in un'altra parte della città, nel posto celato e sicuro che gli appariva come la risoluzione di tante sue frementi perplessità. E fu proprio in quel momento che gli venne in aiuto il fischio della sirena d'allarme aereo, un segnale tremante e lugubre, e insieme un lento accendersi di bengala sulla città indifesa.

    Roberto si precipitò fuori dai quartieri distrutti e deserti, attraverso piccole strade buie fino a raggiungere il centro. E senza più alcuna paura si inserì nelle colonne spaventate di gente che correva per raggiungere i rifugi, udì i loro gemiti, le abbandonò ad ogni scala di sotterraneo per correre più lontano, felice, leggero, con i pensieri agili come le sue gambe. Tastava nelle tasche le armi e si ripeteva nel ritmo del respiro: «Sono salvo, sono salvo». Quando il greve silenzio dell'attesa calò come un sipario sulla città, e tutto ciò che viveva apparve fermo, atterrito e sepolto, egli si incamminò come per una passeggiata verso la piccola casa della periferia dove sapeva di trovare il suo posto già designato.


    La locuzione avverbiale all'insaputa significa:

    di nascosto

    consapevolmente

    con disapprovazione

    con scarsa consapevolezza

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